Il lavoro di Primal nasce negli anni ‘70 con lo scopo di aiutare a liberare ricordi ed emozioni repressi durante l’infanzia, attraverso un processo catartico. Mettendo in atto il “rivivere catastrofico” della storia infantile e l’espressione vocale e fisica del dolore primario, rimasto all’interno del sistema nervoso, si ha l’intento di ottenere liberazione e sollievo.
Questo metodo si è evoluto negli anni, cambiando anche in base al background di chi lo praticava e ha avuto molto successo negli ambienti legati alla meditazione. Perché? in che modo meditazione e Primal si servono a vicenda? Chi impara a meditare in Occidente, in una società frenetica, sa bene quanto sia difficile per i principianti. La mente non si ferma mai mentre cerchiamo di rilassarci, né abbiamo idea di chi siamo al di fuori delle sue incessanti ripetizioni circolari. Oltre a questo, sedersi e rallentare può far emergere emozioni che teniamo sotto controllo in molti modi, evitando di sentire, rimanendo perennemente occupati o compensando ogni sensazione negativa con cibo, shopping, abuso di sostanze o internet. Ci accorgiamo quindi che, incredibilmente, non è facile accostare il nostro stesso essere in silenzio. Possono emergere delle sensazioni legate a quello che chiameremo “vuoto carente”, come ad esempio i sentimenti di solitudine o di auto-svalutazione.
C’è da premettere che l’idea occidentale di mente è relativa al complesso delle facoltà intellettive e al contenuto del pensiero, mentre l’approccio orientale, ovviamente implicito nelle pratiche meditative, la indica come substrato dell’esperienza. Allo stesso modo il concetto di “Io” occidentale è quello di un processo strutturato, funzionale, che fa parte della mente (ogni scuola psicologica può avere diverse definizioni), mentre in campo spirituale è visto come una sovrastruttura utile, ma non riassuntiva dell’essere globale dell’individuo. L’ambito delle psicoterapie e della psicoanalisi normalmente non indaga questo livello. L’attaccamento all’Io, nel percorso spirituale, impedirebbe invece di percepire la natura profonda al di là dei confini del conosciuto. È intuitivo comprendere come questo Io, esito di impressioni, educazione, eventi e traumi, con le sue preferenze ed avversioni, attaccamenti e fissazioni, sia l’esito della nostra esperienza di vita e abbia radici necessariamente nel vissuto infantile. Possiamo vederlo come composto da vari aspetti: facciata sociale, immagine di sé, visione del mondo.
Quello che ci interessa ai fini di questa disamina è il modo in cui l’aspetto dell’immagine di sé, che si è formata nei primi anni di vita, ci condizioni profondamente e non soltanto in quanto ci permette o meno di realizzare i nostri sogni profondi e le nostre passioni, di vivere secondo la nostra natura più profonda o realizzarci socialmente, anche se questi sono gli aspetti che interessano normalmente le persone che cercano un’esperienza liberatoria come quella offerta dal lavoro di Primal. Preme approfondire come l’immagine di sé, spesso connessa a quello che viene chiamato il giudice interiore (o Super Io) sia anche il guardiano di tutta la gamma dell’esperienza possibile, compresa la profondità con cui possiamo esperire il nostro stesso essere. Per citare A.H. Almaas “I confini del sé determinano pure quello che siamo in grado di pensare”. “Lo sviluppo del Sé o identità, equivale alla costruzione dei confini psicologici e al loro congelamento nell’apertura dello spazio… quando si dissolvono questi confini (che sono le immagini specifiche coinvolte nelle rappresentazioni del Sé), si manifesta un vuoto manchevole accompagnato di regola da emozioni dolorose. Quando tali emozioni con il loro senso di manchevolezza vengono comprese ed accettate, il vuoto manchevole scompare, consentendo l’affiorare dello spazio come spaziosità piacevole e serena”. Da Il Vuoto, edizioni Crisalide.
Il processo di Primal evoluto, ci aiuta quindi a capire come questa immagine di sé si sia sviluppata, in base al rapporto con i genitori e tra le altre cose, ad esempio, al rispecchiamento da loro ricevuto. Se ad esempio una donna è cresciuta con la sensazione di essere stupida, in quanto questo le veniva ripetuto in famiglia, prendere in considerazione come è arrivata a quella idea e liberarsi attivamente delle emozioni di rabbia e tristezza ad essa associate, può dare un immenso sollievo, esitare in un cambiamento della immagine interna, aumentare il rilassamento, le nuove possibilità d’azione e linee di decisione. Sarà letteralmente come se una tensione mentale si fosse dissolta e con essa un confine energetico sia interiore che esterno. Da un punto di vista meditativo ciò si tradurrà in maggiore senso di apertura e uno sciogliersi di tensioni limitanti che si rispecchierà anche in un corpo maggiormente in armonia. Questo ci porta intuitivamente a capire che il vuoto meditativo, inteso come spazio di non fissazione, non corrisponde al vuoto carente ma è sintomo di freschezza, prontezza, intelligenza, libertà di movimento, curiosità, possibilità aperte di cambiamento.
La esperienza di spaziosità interna è di fatto uno degli aspetti cardine dello stato meditativo, in quanto agente dissolvente delle tensioni interiori e delle difese ai contenuti della coscienza. Per questo motivo la meditazione o mindfulness, come ora viene commercializzata, viene talvolta sconsigliata a chi abbia forti vissuti traumatici e non sia stato reso pronto all’affiorare di determinati contenuti. Questo è anche uno dei motivi per cui il processo di Primal non è adatto a tutti e richiede una certa solidità di base, da verificare con un’intervista prima di partecipare. Sebbene possiamo avere un gran desiderio di cambiare, le forze in gioco fanno sì che ci sia anche una certa resistenza a lasciare andare il vecchio senso di identità o quanto meno a modificarlo, anche se per il meglio. Dobbiamo ricordarci che possiamo concederci di cambiare solo in condizioni di sicurezza e con il giusto tempo di integrazione. Come visto nella citazione di Almaas precedente infatti, quando il vuoto manchevole emerge, insieme ai ricordi della sua formazione, lo fa al principio in modo doloroso. Questo dolore, in un processo di Primal, viene espresso liberamente e in gruppo, in ambiente protetto e controllato, intervallato da spazi di giocosità e profonda meditazione comune, che fanno da risorse e supporto.
Possiamo quindi riassumere dicendo che il processo di Primal ci aiuta a capire come si sono formati gli ostacoli interni ad uno stato fluido, spontaneo e felice simile a quello dell’infanzia, mentre la pratica meditativa ci aiuta a dissolverli ed espandere la nostra immagine di noi stessi e quindi le nostre scelte. Insieme al dissolversi delle rigidità e delle concezioni limitanti, inoltre, ritroviamo risorse perdute, forme di creatività ostacolate dagli eventi ed abbandonate, una modalità di essere adulti fondata sulla consapevolezza e nuovamente aperta ad innocenza e gioco, generalmente sacrificati nel processo di crescita.