L’idea di scrivere queste riflessioni è nata dopo aver partecipato ad un lavoro di mesi presso la scuola del Diamond Approach di A.H. Almaas e Karen Johnson, chiamato “Human Instincts on the Inner Journey”, Istinti Umani nel Viaggio Interiore. Tale seminario è stato pensato per dare una risposta organica alla necessità dei meditatori di comprendere e gestire quella parte istintuale che, soprattutto per via del condizionamento religioso, viene spesso vissuta come incompatibile con il percorso meditativo.
Il Diamond Approach, pur non annoverando pratiche sessuali, si configura come un percorso tantrico per via di quella che viene chiamata “trascendenza inclusiva”, che nasce dal mettere in relazione la spinta all’autorealizzazione mistica con quella istintiva, il terreno trascendente e la vita di tutti i giorni.
Nel processo evolutivo del bambino non c’è una vera differenza tra l’aspetto di sopravvivenza e quello emozionale: le prime relazioni scolpiscono gli schemi neuronali in modi che sarà difficilissimo modificare in seguito. Quest’ultimi incideranno profondamente su tutte le dinamiche di vita del praticante ed interessano in particolare chi medita facendo una vita tradizionale e mondana, al di fuori di comunità appartate dedite solo a pratiche spirituali.
Il moderno mondo della meditazione, pur correndo il rischio di essere medicalizzato e asservito alle logiche dello “stare meglio equivale a produrre e consumare di più”, ha da tempo assorbito sia la necessità di una profonda indagine psicologica, sia l’apporto inestimabile delle nuove neuroscienze. Pertanto, la auto-osservazione della mente tipica delle pratiche meditative è sempre più affiancata dal sapere accumulato in Occidente da psicologia e nuovi apporti scientifici. Questi strumenti diventano nuove lenti di lettura per affiancare il percorso di disidentificazione dalla propria mente in un’umanità intellettualmente sempre più complessa benché, purtroppo, il trend in questo senso sembri attualmente invertito.
In un certo senso potremmo definire tantrica anche l’attitudine a non rifiutare altre discipline ma ad includerle nel percorso meditativo. Queste premesse sono indispensabili se vogliamo guardare attentamente a percorsi moderni che permettano di unificare spiritualità e sessualità, istanza che trova autorevolissime fondamenta e massima fioritura, ad esempio, nell’antico shivaismo tantrico kashmiro.
L’idea è di liberare le potenti spinte istintuali dalle distorsioni sempre più complesse della nostra civilizzazione per metterle al servizio e a supporto del lavoro interiore, grazie alle loro qualità di dinamismo, passione, vitalità, spinta alla vita, saggezza innata, profonda resistenza ed anche alla capacità di morire, indispensabile alla trasformazione personale. Questo può essere fatto attraverso una lunga autoanalisi seguita da pratiche meditative che puntino alla disidentificazione e, quindi, alla riapertura di uno spazio mentale vergine, non aggrappato a conoscenze stantie o a esperienze che connaturino la percezione della realtà attraverso chiavi di lettura statiche.
Possiamo quindi stabilire ora in quali punti sessualità e spiritualità, due spinte umane potenti, trovino le loro profonde equivalenze al di fuori di condizionamenti creati per spezzare l’unità organica del sistema corpo-mente in parti che guardano altre con diffidenza, se non odio e repulsione, rendendo pertanto l’umanità del tutto manovrabile da sistemi di idee avulsi dalla realtà e perfino dal senso stesso della nostra sopravvivenza individuale e di specie.
Cominciando la nostra disanima dettagliata delle equivalenze, A.H. Almaas fa notare che sia per l’esperienza sessuale che per quella spirituale è necessario essere nel momento presente, aperti all’immediatezza dell’esperienza. Da un punto di vista tantrico ciò significa sentire il proprio corpo pienamente, abitarlo ed esprimerci attraverso di esso.
Anche la pratica spirituale prevede la dimensione diretta della presenza: essa può manifestarsi con sensazioni idilliache di fusione, amore, preziosità e soddisfazione che investono il cuore, la mente e tutto il corpo, genitali compresi, proprio come la descrizione delle estasi mistiche antiche e attuali ci fa ampiamente vedere.
La possibilità di essere completamente presenti al proprio corpo, a quello dell’altro e al momento presente in generale, può naturalmente essere compromessa dalle distorsioni create dal trauma, dalle credenze sul corpo, dall’accettazione di sé, dalle forme culturali eccetera.
Un secondo punto in comune tra spiritualità e sessualità che viene esaminato nel corso è la capacità, tutt’altro che scontata, di essere curiosi, giocosi, avventurosi. Affinché questa curiosità si manifesti in una reale apertura, è necessario non avvicinarsi all’altro esclusivamente attraverso il potere seduttivo, la conferma narcisistica, il consumismo sessuale e la credenza che l’incontro sia un fenomeno superficiale a cui passare oltre per rapida noia. Queste modalità narcisistiche, superficiali, spaventate ed iper frequenti nella nostra società, affiancano la possessività quale speculare blocco all’apertura. Ciò ci vorrebbe obbligati, o più propriamente obbligate, visto che il condizionamento è applicato in modo capillare solo sulle donne, a conoscere e a restare aggrappati a pochi partner o ad uno soltanto. La curiosità apre i segreti del corpo fisico così come quelli dell’universo e può essere esercitata anche in una direzione verticale, di profondità con un partner uguale altrettanto impegnato nel percorso della scoperta di sé. Il principio di scoperta ed esplorazione, infatti, richiede un grande equilibrio e possibilità di essere onesti con sé stessi, sia che si decida di restare in un solo rapporto o di sperimentarne molti, altrimenti rischiamo in un modo di proteggerci eccessivamente e nell’altro di scappare da noi stessi e dalle nostre ferite. In un mondo di enorme offerta e accessibilità per quanto riguarda i percorsi spirituali, possiamo applicare esattamente la stessa regola che affianca consumismo spirituale a sistemi di credenze e pratiche fossilizzati e morti.
La curiosità correla con l’immaginazione, infatti, e per molte persone la stimolazione amorosa è ormai possibile solo attraverso immagini stereotipate, pornografiche e purtroppo sempre più violente. L’immaginazione nel sesso può significare presenza totale nel far accadere qualsiasi cosa voglia esprimersi: creatività amorosa, risposta immediata coerente e sensibile al proprio corpo e a quello dell’altro così come dissociazione totale dal momento presente ed incapacità di uscire dal mentale, inchiodato in un altrove fantasmatico. A livello spirituale, come sappiamo ampiamente, perdersi nelle fantasie e nelle ripetizioni incessanti del pensiero ricorsivo è considerato il primo limite alla capacità di sviluppare presenza e una chiara mente.
Una mente disturbata interferisce sia con il sesso tantrico che con la spiritualità sotto forma di anticipazioni ed aspettative, positive o negative, legate a scenari fantastici. La sessualità, essendo procreativa, è per sua natura orientata ad un obiettivo e al futuro, ma possiamo vedere questo obiettivo in senso più ampio: può mirare a conferme, richiesta di affetto, scambio economico, rapporto di potere, infinita auto-affermazione, ricerca di rilassamento, tensione verso il climax.
Tuttavia, quando finalmente ci si incontra in un letto ed idee e fantasie entrano in gioco, anche sotto forma di ansietà in caso di esperienze negative pregresse, ogni forma di reale apertura a ciò che vuole manifestarsi con quel particolare essere umano si perde completamente.
Risulta simile la contrazione verso un obiettivo come l’illuminazione o il tentativo di usare la pratica per non sentire le emozioni negative o negarle, ad esempio attraverso il bypassing spirituale. È interessante considerare come quest’ultimo sia una forma di evitamento di sé speculare all’evitamento in ambito relazionale.
Perché il tantra possa essere una esperienza profonda, così come in generale la vita, deve restare uno spazio di “non sapere” che permette alle cose di non svolgersi necessariamente secondo uno schema che pretendiamo di prevedere, conoscere e dirigere, o resteremo per sempre tagliati fuori da ogni possibilità di crescita, sviluppo e reale novità.
Al fine che un incontro funzioni, inoltre, dobbiamo essere interessati all’altro in modo sincero e non prettamente strumentale e depersonalizzante, anche se non sappiamo cosa succederà dopo e anche se si tratta di una esperienza temporanea. Questa è una forma di altruismo nel piacere e di servizio che ci rende onestamente aperti alla persona che abbiamo davanti e alla quota di realtà che incarna. Si tratta di servizio al piacere altrui che non ha nulla di sacrificale, ma si manifesta come un’emersione spontanea di azioni, un flusso creativo sensibile.
Tutte le strutturazioni che tendono alla ripetizione sono per forza di cose egoiche, a differenza della spontaneità, che però ovviamente comprende una quota di rischio di varia natura. È necessario non orchestrare nulla. Da un punto di vista spirituale questo non significa mancanza di preparazione, ma che questa non struttura la forma della pratica, sia sessuale che spirituale, in modo da privarla di vita rendendola una forma vuota. Vediamo qui che una forma di intelligenza dialettica superiore è necessariamente presente, sia che si tratti di un incontro tantrico sia che si tratti di una dialettica interna con la realtà ultima.
L’esperienza della resa sia in caso di intimità con una persona che con l’universo, scopre la nostra vulnerabilità profonda ed è legata alla possibilità di perdersi e quindi annichilirci in qualcosa di più grande, che sia il campo creato dai due amanti o quello universale. L’altro e l’assoluto non sono separati, perché l’assoluto è la natura di ogni cosa. Per assoluto A.H. Almaas intende la fonte, la vera natura. Questa resa non avviene in modo dissociativo o come oggetto di asservimento o esito di comodità, violenza, compromesso, ma come sovrabbondanza amorosa in cui si vuole darsi completamente a qualcosa d’altro, una forma di porosità esistenziale.
Il concetto di resa può scatenare le più selvagge risposte egoiche in termini di paura e ribellione, sia relativamente ad un aspetto legato ad un attaccamento insicuro, sia che si tratti di paura del dissolversi o del riconoscersi come entità non separata a livello assoluto. Curiosamente, allo stesso tempo, questa fusione è quello a cui segretamente tutti tendiamo.
La pratica tantrica è il luogo elettivo in cui è possibile sperimentare, insieme a qualcun altro, la vera natura, la realtà ultima, vivendone l’aspetto connaturato dall’unità e dalla profondità. Non è certamente l’unico percorso possibile e non è superiore a quelli in solitaria, che in certe situazioni sono anche gli unici praticabili. È tuttavia arrivato il momento di sfatarne completamente l’incompatibilità con le maggiori vette della fioritura umana.
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